Framavox
Sun 18 Oct 2020 7:48AM

Una rete intessuta di libri

AP Armando Pitocco Public Seen by 16

"Bussare con i piedi..."
Apro questa prima discussione del nostro gruppo con l'idea di una bibliorete. In che consiste? Un catalogo online dei nostri libri che vogliamo condividere. Mi piace l'idea che come primo passo dentro questo spazio, che vorrei disegnassimo insieme, si entri con un libro significativo.

Per condividere con il gruppo un libro, vi chiedo di iscrivervi a questa piccola bibliorete partenopea:
https://inventaire.io/groups/piccola-bibliorete-partenopea

e nel proprio profilo cliccare su "aggiungi libro", e lì caricare un libro che avete in casa mettendo davanti la fotocamera il codice a barre (o inserendo a mano l'isbn o il titolo).

Una volta inserito il primo libro, potremmo scrivere un messaggio in questa discussione per notificarlo a questo nostro gruppo di autoformazione.

Saranno già i libri che condivideremo a cominciare a delineare il nostro spazio di interesse.

Un abbraccio

AP

Armando Pitocco Sun 18 Oct 2020 10:44AM

Hikikomori e adolescenza. Fenomenologia dell'autoreclusione

Hikikomori e adolescenza. Fenomenologia dell'autoreclusione
https://inventaire.io/entity/isbn:9788857505176

Attualmente sto leggendo un libro sul fenomeno sociale dell'autoreclusione (generalmente maschile, generalmente adolescienziale, originariamente giapponese), che raccoglie gli interventi di un convegno organizzato dalla scuola di psicoterapia dell'Asl Napoli 1 (Scuola Sperimentale per la Formazione alla Psicoterapia ed alla Ricerca nel Campo delle Scienze Umane Applicate, con sede nell'UOSM 26 di Soccavo). La curatrice è la psichiatra Giulia Sagliocco, didatta che si dedica alla salute mentale negli adolescenti.
I vari capitoli raccolgono gli interventi di molti didatti (tra cui interessante l'intervento di Carlo Pastore, tra i fondatori della scuola) e dell'antropologa culturale Carla Ricci (che lavora a Tokyo e ha fatto conoscere il fenomeno Hikikomori, «vivere ritirati», in Italia), con casi clinici dai servizi di salute mentale della provincia di Napoli.

Ho apprezzato la prospettiva "globale" dell'analisi: l'autoreclusione come problematica che trova le sue radici nella crisi adolescenziale (Ponte tra infanzia ed età adulta), in una dinamica familiare (simbiosi madre-figlio, in assenza di un "Terzo", di un "Altro" non presente nel discorso familiare, magari perché il padre è risucchiato dal ruolo di lavoratore-samurai, o perché non c'è), ma anche sociale ed esistenziale:

Nel momento in cui si intraprende a percorrere il Ponte che non si sa dove porterà, nasce il «sentimento della vita caratterizzato da dubbio, intima scissione, paura ed una profonda relazione con la morte»[1].
Mentre l'infanzia e la classicità si esprimono naturalmente, così come Adamo ed Eva nell'Eden «erano nudi ma non ne provavano vergogna», l'adolescenza e il Manierismo sono le prime epoche della vita dell'uomo profondamente non ingenue o non innocenti, come avrebbe precisato Sergio Piro[2]. L'epoca cioè in cui ci si sente al centro del proprio mondo. La volontà cui si è costretti a fare ricorso nasce dallo scomodo e doloroso senso di responsabilità verso se stessi, che non è più affidato ai genitori e al mondo adulto in generale. Da questo punto nasce anche la creazione del sé come individui.
Nell'Eden, Adamo ed Eva si accorsero di essere nudi solo dopo aver mangiato il frutto colto dall'albero della conoscenza del bene e del male [...] Ci si sente nudi quando si sente bisogno di coprire parti di sé che si ritengono intime e preziose, quando ci si sente indifesi, quando si ha bisogno di interporre qualcosa altro di fronte al resto del mondo per essere se stessi, per non provare vergogna. Ci si può sentire nudi e indifesi, anche di fronte all'esistenza, nel momento in cui «[...] L'Uomo non è più autonomo, si sente dipendente da potenze maggiori che stanno al di fuori di lui»[3], e ciò dà luogo ad una serie di reazioni intime che partecipano ad un «mutamento del sentimento collettivo della vita»[3], non solo ad un «mutamento di ordine individuale e privato»[3], come avverrebbe in una qualsiasi forma di psicopatologia in generale.
[...]
Spesso la spiegazione sta in una sofferenza, non solo individuale, non solo familiare, ma sociale ed esitenziale. Il giovane con un problema comportamentale non è solo l'espressione sintomatica del malessere della sua famiglia, ma anche dell'intera società cui appartiene. I giovani spesso con i loro comportamenti sconcertanti, individuali e di gruppo, mettono in scena ciò che la società degli adulti rimuove. Essi rappresentano, in modo drammatico, la sofferenza che provano a cui non riescono a dare un nome. La società degli adulti insegna soprattutto con l'esempio a rimuovere il dolore che si prova per i male del mondo, la fame, gli eccidi, la distruzione ambientale; invita ad atteggiare indifferenza ed egoismo di fronte alla complessità del mondo e del vivere sociale con la giustificazione per cui solo così si può sopravvivere alla disperazione.

Da "Introduzione. L'adolescenza come forma di esistenza" di Giulia Sagliocco
[1] L. Binswanger, Tre forme di esistenza mancanta, SE, Milano 1992, p 157
[3] ibidem p. 166
[2] S. Piro, Antropologia Trasformazionale, Franco Angeli, Milano 1993, p 330-331

Molto interessante la contestualizzazione del fenomeno Hikikomori nella crisi della cultura giapponese, e della sua relazione con il mondo occidentale. L'antropologa statunitense Ruth Benedict fu la prima a parlare di "civiltà della vergogna" (La spada e il crisantemo, 1946) in riferimento al Giappone (e il grecista irlandese Eric Dodds farà il parallelismo con la civiltà pre-classica dei poemi omerici in I greci e l'irrazionale, 1951), contrapposta ad una "civiltà della colpa" (rappresentanta dalla "modernità occidentale" dalla Grecia classica in poi).

Nel dopoguerra la civiltà giapponese (quella della "vergogna") sarebbe messa in crisi dalla sconfitta subita, obbligata a transitare anch'essa versa una civiltà della colpa.
Pochi mesi prima del suo seppuku, l'importante scrittore giapponese Yukio Mishima scriveva nel 1970:

«Il Giappone è destinato a scomparire. Al suo posto rimarrà, in un lembo dell'Asia estremo-orientale, un grande paese produttore, inorganico, vuoto, neutrale e neutro, prospero e cauto. Con quanti ritengono che questo sia tollerabile, io non intendo parlare.»

Riflettendo sul ruolo della coppia antitetica onore-vergogna, Monica Gemelli e Carlo Pastore scrivono:

La dimensione estetica, riguardando la forma "bella" della condotta che fonda la possibilità di una stima di sé pubblicamente affermata e sostenuta, appare cioè come la dimensione per concepire tanto l'onore quanto la vergogna.
Fare Hikikomori si mostra in tal senso come un sottrarsi allo sguardo giudicante del padre (collettivo e impersonale) che è il mondo fuori di casa, a partire dalla percezione di intollerabilità di un sentimento di vergogna. Tutto sembra muoversi nell'impossibilità di un registro estetico che affidi allo sguardo la propria sostanza, una sostanza eterea, di cui le determinazioni concrete d'esistenza sono soltanto casuali risultanze senza valore. L'esser guardati – e ammirati? – da un punto vuoto dello spazio esterno, un padre, in qualche modo, sembra non essere più sufficiente ai giovani che oggi fanno Hikikomori. Paradossalmente, in questa chiave, è proprio la vergogna, a non reggere in qualità di perno valoriale intorno al quale organizzare le dinamiche affettive ed identificative.
[...]
La Benedict racconta che il significato simbolico degli specchi, in Giappone, tale che ne fa oggetti sacri presenti sugli altari scintoisti, è legato al fatto che, apparendo, nello specchio, gli occhi che sono la porta dell'anima, attraverso questo strumento è possibile autocontemplare il proprio "io senza vergogna", "l'eterna purezza" [così com'era prima dell'adolescenza, ndr], e così facendo valutare in che misura sia preservata la parte originaria della propria personalità, la più spontanea ed autentica.
[...]
Da questo punto di vista il codice dell'onore appare dunque intramontato, istituendo le coordinate valoriali entro le quali lo scacco, sul piano della competizione sociale e della riuscita, si traduce in ritiro impotente e onnipotente che abolisce – come un punto zero in un anno zero della crescita – il mondo intero.
[...]
La vergogna sotterraneamente permane a fungere da condizione necessaria di accesso alla possibilità di accettazione ed autoaccettazione, ma sembra essere divenuta una vergogna senza onore, un malinconico nascondimento di sé ad uno sguardo cieco. È vergogna dunque ancora, ma è anche crisi della vergogna.

Da "Hikikomori, fiori di ciliegio, cerchi nel grano" di Monica Gemelli e Carlo Pastore.

AP

Armando Pitocco Sat 16 Jan 2021 7:59AM


https://jacobinitalia.it/fanon-il-filosofo-delle-barricate/

Approfitto di un interessante articolo della rivista statunitense Jacobin per parlare di Frantz Fanon, psichiatra francese morto a 35 anni di leucemia, autore di importanti libri che abbiamo nella nostra piccola biblioteca:

Si trovò a lavorare come psichiatra in Algeria nel periodo della guerra di indipendenza, a cui partecipò.

Nella sua pratica clinica introdusse un'approccio sociale alla patologia, accanto alle pratiche dell'epoca (recenti psicofarmaci ed ect).

Dalla sua tesi di dottorato sulle implicazioni psichiatriche dell'atassia di Friedreich

"Il [singolo] essere umano smette di essere un fenomeno nel momento in cui lui o lei incontra il volto di un altro. Perché l’altro rivela me a me stesso. E la psicoanalisi, proponendosi di reintegrare l’individuo folle all’interno del gruppo, si stabilisce come la scienza della collettività par excellence. Questo significa che l’essere umano sano è un essere sociale: o altrimenti, che la misura della sanità umana, da un punto di vista psicologico, sarà data dall’integrazione più o meno perfetta nel socius."